Sono quelli nati tra gli anni ’80 e il 2000, e sono tra le più grandi generazioni della storia: uno tsunami di nuovi consumatori che entrano nel mondo del lavoro, fanno soldi, anche se con mille difficoltà, ma non li danno alle banche, li spendono, investono, prestano in modo completamente diverso rispetto ai loro genitori. Negli Usa la cifra prodotta solo dai Millennials raggiungerà i 7 miliardi di dollari, più o meno, entro il 2020. Secondo i dati del Millennial Distruption Index, le banche devono avere paura, mentre le startup possono festeggiare. Un millennial su 3 potrebbe cambiare banca nei prossimi 90 giorni e più della metà dei 10 mila intervistati non crede che la propria banca offra qualcosa di davvero diverso rispetto alle altre. Ma il dato molto interessante è un altro: oltre il 70% dei giovani intervistati ha manifestato interesse verso i nuovi servizi finanziari di Google, Amazon, Apple, Paypal, Square piuttosto che quelli, seppur convenienti, delle banche tradizionali. E non è certo un caso se moltissime tra le startup fintech stanno sfruttando reti e strumenti più in voga tra i giovani come i social network e, soprattutto, le app di instant messaging.
È in atto un cambiamento di paradigma rispetto alle generazioni precedenti, la generazione X e quella dei baby boomers. Oggi non comprano casa, la affittano. Non comprano l’automobile, usano il car sharing o Uber. Si rivolgono a una nuova serie di servizi che consentono di accedere ai prodotti senza esserne proprietari. L’economista Jeremy Rifkin qualche mese fa più che una previsione ha emesso una sentenza: “Tra 25 anni sarà ovvio andare in giro in car sharing, l’anomalia sarà avere un’auto di proprietà.”